Andreina Serena Romano -Prima di tutto definiscici la tua arte. E’ semplice street art o è un’evoluzione dell’arte visiva che tocca diversi campi?
Mimmo Rubino -La seconda che hai detto.
A.S.R. -Gli artisti sono portavoce della società, attraverso le opere cercano di raccontare il mondo che vivono: disagi, problemi, perplessità. Cosa si nasconde dietro i tuoi lavori?
M.R. -Provo a ribaltare la tua domanda. Gli artisti interrogano la società, attraverso le loro opere cercano di visualizzare il mondo che vivono: problemi, disagi, perplessità. Che cosa cercano di svelare i miei lavori?
Più che dire che gli artisti siano “portavoce” della società direi che essi parlano della società, in qualche modo la analizzano, i “portavoce” sono i politici, gli artisti a volte pongono delle domande. Più che “affermativa” l'arte tende a essere “interrogativa”.
Dietro i miei lavori non nascondo niente. Non sono un artista "Nascondista" come il grande Staccolanana. So che questo vale anche per la maggior parte degli artisti, che di solito hanno il problema contrario, quello di rendere visibile, più che di nascondere. Per chi osserva un'opera,pensarla come un rebus può essere fuorviante e generare la frustrazione di non capire, anche perché il rebus prevede la soluzione, l'opera no. Questo è il motivo per cui molti artisti hanno difficoltà nel fare la prosa scritta della propria poetica). Cosa si nasconde dietro "M’illumino d’immenso" oltre all'io soggetto sottinteso?
Io, di mio, cerco di mettere tutti gli elementi a vista come fa Erik Buel quando costruisce le sue moto. Il problema però è che non sempre gli elementi mi sono chiari: se devi scrivere il menù di un ristorante il gioco è abbastanza facile, se però devi raccontare a qualcuno il sapore di quei piatti diventa più difficile.
A.S.R. -“Work will make you free”. Cosa si nasconde dietro questa istallazione?
M.R. -WORK: Il lavoro, WILL MAKE: farà, YOU: tu/voi, FREE: Libero/i
A.S.R. -“L’idea è dozzinale; la provocazione infantile. Quindi ineccepibile. Per un ciarlatano di successo. Non firmata, è solo fascista”. Così un giornale in rete definisce te e la tua istallazione. Cosa ne pensi?
M.R. -Beh, se non altro ha detto che sono di successo.
A.S.R. -“L’idea è dozzinale; la provocazione infantile. Quindi ineccepibile. Per un ciarlatano di successo. Non firmata, è solo fascista”. Così un giornale in rete definisce te e la tua istallazione. Cosa ne pensi?
M.R. -Beh, se non altro ha detto che sono di successo.
A.S.R. -Non credo esista realmente un nesso politico dietro questa tua azione. Perché pensi che sia stato così semplice minimizzare il tuo messaggio? E’ stato un po’ un’ancora di salvezza da una giornata già discretamente faticosa per la politica?
M.R. -Direi piuttosto che c'è stata un’informazione superficiale e bisognosa di titoli forti. Provo a spiegarmi meglio: Nonostante i più, anche quelli ai quali il mio lavoro faceva schifo, avevano inteso l'evidente non paternità antisemita del manufatto (Ma quella scritta non era forse in tedesco? Ma l'inglese non è la lingua della new economy, dell'alleanza antinazista?) la notizia di un nazista era molto più forte della notizia di un artista, e nonostante sotto l'arco in molti notavano che la “pista nazista” era assurda, si è preferito dar voce a chi usava le parole più forti. Evidentemente il conflitto fa più audience dell'analisi. Per tutti gli altri, da destra a sinistra, è stata l'occasione per indignarsi pubblicamente e senza riserve verso il male assoluto.
Il giorno 26 aprile la notizia della “scritta nazista” è stata sostituita con quella dell'“artista precario" ed effettivamente in quel momento ero davvero in una posizione precaria. Da lì in poi gli stessi giornalisti che mi chiamavano cercando di recuperare informazioni mi confermavano di non aver troppo creduto alla storia del nazista.
L'indignazione è la necessità di definire pubblicamente il proprio sdegno. Nessuno ha resistito all'occasione di un'indignazione facile facile. Trovo bello che in tanti abbiano avuto voglia di dire la propria e sarei davvero contento se tutti gli indignati contro il mio razzismo facessero dei cordoni per proteggere le case dei Rom che vengono abbattute dalle ruspe. L'indignazione è spesso un tentativo posticcio di prendere posizione su argomenti che non si conoscono, forse c’è una corrispondenza diretta tra la grandezza del titolo del quotidiano e la grandezza dell’indignazione.
M.R. -Direi piuttosto che c'è stata un’informazione superficiale e bisognosa di titoli forti. Provo a spiegarmi meglio: Nonostante i più, anche quelli ai quali il mio lavoro faceva schifo, avevano inteso l'evidente non paternità antisemita del manufatto (Ma quella scritta non era forse in tedesco? Ma l'inglese non è la lingua della new economy, dell'alleanza antinazista?) la notizia di un nazista era molto più forte della notizia di un artista, e nonostante sotto l'arco in molti notavano che la “pista nazista” era assurda, si è preferito dar voce a chi usava le parole più forti. Evidentemente il conflitto fa più audience dell'analisi. Per tutti gli altri, da destra a sinistra, è stata l'occasione per indignarsi pubblicamente e senza riserve verso il male assoluto.
Il giorno 26 aprile la notizia della “scritta nazista” è stata sostituita con quella dell'“artista precario" ed effettivamente in quel momento ero davvero in una posizione precaria. Da lì in poi gli stessi giornalisti che mi chiamavano cercando di recuperare informazioni mi confermavano di non aver troppo creduto alla storia del nazista.
L'indignazione è la necessità di definire pubblicamente il proprio sdegno. Nessuno ha resistito all'occasione di un'indignazione facile facile. Trovo bello che in tanti abbiano avuto voglia di dire la propria e sarei davvero contento se tutti gli indignati contro il mio razzismo facessero dei cordoni per proteggere le case dei Rom che vengono abbattute dalle ruspe. L'indignazione è spesso un tentativo posticcio di prendere posizione su argomenti che non si conoscono, forse c’è una corrispondenza diretta tra la grandezza del titolo del quotidiano e la grandezza dell’indignazione.
A.S.R. -Ti conosco da tanti anni e sicuramente non ti definirei un estremista di destra con idee filo-fasciste. Come mai è uscita solo questa immagine di te?
M.R. -In realtà di me non è uscito molto, si è parlato di “scritta nazista” ed era normale che se ne parlasse in quei toni. Altri, il giorno dopo, hanno parlato di Domenico Artista Precario Lucano (ma cos'è un film di Nanni Moretti?) della video-intervista al "fatto quotidiano" o, peggio, degli altri articoli che, a fronte della mia indisponibilità a parlare ancora, allestivano scenari improbabili basati su informazioni scambiate tra colleghi e riciclate dalla solita video-intervista, arrivando, nel pieno del brainstorming, a una versione bellissima in cui: Domenico (nome di fantasia) Giovane Artista Precario Lucano, assieme alle sua Fidanzata Giovane Storica Dell'Arte Precaria issa la scritta per protestare contro la precarietà, non è nazista, non si pente, chiede scusa. Fortunatamente in questa confusione almeno è uscito fuori la mia distanza dal neonazismo, che era il motivo per cui, pur odiando la sovraesposizione mediatica, avevo deciso subito di farmi intervistare.
M.R. -In realtà di me non è uscito molto, si è parlato di “scritta nazista” ed era normale che se ne parlasse in quei toni. Altri, il giorno dopo, hanno parlato di Domenico Artista Precario Lucano (ma cos'è un film di Nanni Moretti?) della video-intervista al "fatto quotidiano" o, peggio, degli altri articoli che, a fronte della mia indisponibilità a parlare ancora, allestivano scenari improbabili basati su informazioni scambiate tra colleghi e riciclate dalla solita video-intervista, arrivando, nel pieno del brainstorming, a una versione bellissima in cui: Domenico (nome di fantasia) Giovane Artista Precario Lucano, assieme alle sua Fidanzata Giovane Storica Dell'Arte Precaria issa la scritta per protestare contro la precarietà, non è nazista, non si pente, chiede scusa. Fortunatamente in questa confusione almeno è uscito fuori la mia distanza dal neonazismo, che era il motivo per cui, pur odiando la sovraesposizione mediatica, avevo deciso subito di farmi intervistare.
A.S.R. -Un detto dice che il lavoro nobilita l’uomo, ma spesso lo rende schiavo della società. Cosa ne pensi?
M.R. -Lavoro come docente formatore. A oggi ho avuto davanti a me circa duecentocinquanta disoccupati, tutti intelligenti e preparati. Conosco bene il business dell'impiego e le dinamiche della ricerca del lavoro, meglio ancora quelle inerenti i “lavori creativi” o “intellettuali”.
Si parla del lavoro sempre in termini di soldi, ma la vera questione non è “lavorare per guadagnare ma “lavorare per essere un lavoratore”, per condurre una giornata da lavoratore, per sentirsi in pace con sé stessi. Chi cerca lavoro, cerca, prima dei soldi, la possibilità di avere accesso a quello status. Questa necessità di essere un lavoratore, questa voglia naturale di creare, di dare il proprio contributo, spinge tanti ragazzi a lavorare praticamente gratis e va a rafforzare i datori di lavoro che ormai non si pongono neanche più il problema di parlare di stipendio. Detto in altre parole, ci sono giornalisti, grafici, artisti di teatro, musicisti, scrittori, critici e curatori d'arte, cine-operatori, scenografi e altri che, pur di fare il proprio lavoro, pur di avere accesso al lavoro, lo fanno gratis, in qualità di tirocinanti, portando avanti aziende che hanno due stipendiati e cinque o sei volontari che vengono cambiati di tanto in tanto.
A.S.R. -La politica è un’arte o l’arte è nella politica?
M.R. -L'arte è nella politica, o almeno lo è la creatività. Pensa per esempio a quanto sono creativi quelli della Lega: sono riusciti a pensare di portare un maiale a pascolare sui terreni che rischiavano di ospitare una futura moschea per renderli impuri e scongiurare la costruzione del centro di culto. Io, da artista, non ci avrei mai pensato, in confronto a Calderoli mi sento un fallito, in termini di creatività. E poi vuoi mettere che fantasia: immaginare i musulmani come una tribù primitiva. Immagina: due nostri preti si incontrano e il primo dice: “Reverendo, non possiamo fondare la nostra chiesa su questo terreno perché un gruppetto di anticlericali ci è venuto a bestemmiare sopra”. E il secondo risponde: “Reverendo, siamo religiosi, mica idioti”.
M.R. -Lavoro come docente formatore. A oggi ho avuto davanti a me circa duecentocinquanta disoccupati, tutti intelligenti e preparati. Conosco bene il business dell'impiego e le dinamiche della ricerca del lavoro, meglio ancora quelle inerenti i “lavori creativi” o “intellettuali”.
Si parla del lavoro sempre in termini di soldi, ma la vera questione non è “lavorare per guadagnare ma “lavorare per essere un lavoratore”, per condurre una giornata da lavoratore, per sentirsi in pace con sé stessi. Chi cerca lavoro, cerca, prima dei soldi, la possibilità di avere accesso a quello status. Questa necessità di essere un lavoratore, questa voglia naturale di creare, di dare il proprio contributo, spinge tanti ragazzi a lavorare praticamente gratis e va a rafforzare i datori di lavoro che ormai non si pongono neanche più il problema di parlare di stipendio. Detto in altre parole, ci sono giornalisti, grafici, artisti di teatro, musicisti, scrittori, critici e curatori d'arte, cine-operatori, scenografi e altri che, pur di fare il proprio lavoro, pur di avere accesso al lavoro, lo fanno gratis, in qualità di tirocinanti, portando avanti aziende che hanno due stipendiati e cinque o sei volontari che vengono cambiati di tanto in tanto.
A.S.R. -La politica è un’arte o l’arte è nella politica?
M.R. -L'arte è nella politica, o almeno lo è la creatività. Pensa per esempio a quanto sono creativi quelli della Lega: sono riusciti a pensare di portare un maiale a pascolare sui terreni che rischiavano di ospitare una futura moschea per renderli impuri e scongiurare la costruzione del centro di culto. Io, da artista, non ci avrei mai pensato, in confronto a Calderoli mi sento un fallito, in termini di creatività. E poi vuoi mettere che fantasia: immaginare i musulmani come una tribù primitiva. Immagina: due nostri preti si incontrano e il primo dice: “Reverendo, non possiamo fondare la nostra chiesa su questo terreno perché un gruppetto di anticlericali ci è venuto a bestemmiare sopra”. E il secondo risponde: “Reverendo, siamo religiosi, mica idioti”.
A.S.R. -Entrare nella testa degli altri artisti e capire dietro le provocazioni cosa c’è è spesso molto difficile per “noi comuni mortali”. Molto spesso diventa arte qualsiasi cosa che faccia scalpore. Non pensi che questo minimizzi le capacità e le idee di molti giovani artisti?
M.R. -Non è vero, semmai è vero il contrario, prendiamo ad esempio la mia opera Work Will Make You Free: essa è stata realizzata come "opera d'arte" e non come "oggetto che crea scalpore" ma ha fatto scalpore ed è stata criticata non come opera d'arte. Gli omicidi fanno scalpore, generano fascino, producono documenti che possono anche finire nei musei (criminali) ed essere collezionati, ma non ne ho mai sentito parlare pubblicamente come arte.
Un riferimento classico, quando si parla di “opera che crea scalplore”, è la merda d'artista di Manzoni, (ora pure la merda è arte?). Ecco, credo che se Manzoni fosse partito con l'obiettivo di far scalpore non sarebbe arrivato a costruire un'opera come quella, che invece conserva e rappresenta la ricerca di quel grande pensatore che è stato. Difficilmente trovi un'opera d'arte in un museo solo perché essa ha fatto scalpore, semmai è il contrario, alcune volte ci si scandalizza che qualche opera sia in un museo. Quando poi l’opera è per strada, apriti cielo!
Il luogo comune vuole che sia conveniente per un artista fare scalpore, ma non è la verità, il mondo dell'arte differisce ancora un minimo da una trasmissione di Maria De Filippi. Credo che sia sconveniente fare “scalpore” e sinceramente non credo che gli artisti cerchino lo “scalpore” di proposito.
Un riferimento classico, quando si parla di “opera che crea scalplore”, è la merda d'artista di Manzoni, (ora pure la merda è arte?). Ecco, credo che se Manzoni fosse partito con l'obiettivo di far scalpore non sarebbe arrivato a costruire un'opera come quella, che invece conserva e rappresenta la ricerca di quel grande pensatore che è stato. Difficilmente trovi un'opera d'arte in un museo solo perché essa ha fatto scalpore, semmai è il contrario, alcune volte ci si scandalizza che qualche opera sia in un museo. Quando poi l’opera è per strada, apriti cielo!
Il luogo comune vuole che sia conveniente per un artista fare scalpore, ma non è la verità, il mondo dell'arte differisce ancora un minimo da una trasmissione di Maria De Filippi. Credo che sia sconveniente fare “scalpore” e sinceramente non credo che gli artisti cerchino lo “scalpore” di proposito.
A.S.R. -Sei conosciuto soprattutto per la tua serie di Anamorfosi, di che si tratta?
M.R. -Sono dei dipinti che guardati da un determinato punto generano una percezione di tridimensionalità, è una tecnica antica che sta vivendo una nuova giovinezza negli ultimi anni. Disegno delle forme geometriche elementari in grandi spazi, poi scatto una foto ad alta risoluzione e la stampo in grande formato. Di solito lavoro in zone periferiche, parcheggi, fabbriche abbandonate. Il bianco della pittura contrasta con lo sporco e il nero dei residui industriali e ne appiattisce la profondità dello spazio.
A.S.R. -Ho notato che, nelle tue Anamorfosi a volte usi specchiare le immagini.
M.R. -Sono dei dipinti che guardati da un determinato punto generano una percezione di tridimensionalità, è una tecnica antica che sta vivendo una nuova giovinezza negli ultimi anni. Disegno delle forme geometriche elementari in grandi spazi, poi scatto una foto ad alta risoluzione e la stampo in grande formato. Di solito lavoro in zone periferiche, parcheggi, fabbriche abbandonate. Il bianco della pittura contrasta con lo sporco e il nero dei residui industriali e ne appiattisce la profondità dello spazio.
A.S.R. -Ho notato che, nelle tue Anamorfosi a volte usi specchiare le immagini.
M.R. -Si, sono quelle che nel titolo contengono le parole "the mirror". In un manuale di design proprio l'altro giorno leggevo che la simmetria è sinonimo di monotonia. Mi piace la sacralità delle immagini speculari. Lo specchio, nella sua semplicità, rappresenta l'impenetrabilità dell'immagine, fin da bambini, poggiando le mani sullo specchio, abbiamo imparato che non tutto quello che si vede può essere toccato. lo specchio è una vecchia conoscenza che non smette mai di incuriosirci.
In un'opera ho associato l'effetto specchio (mirror) al disegno di una croce (cross) e ne
è venuta fuori Cross the Mirror. Quest'opera ha momentaneamente chiuso il ciclo delle Anamorfosi che spero di riaprire prima o poi. Guardandola penso che essa racconti come faccio alcune cose, nel titolo, nell'immagine. Sul set ho disegnato solo metà della croce affidando allo specchio il compito di restituirla intera, questo mi ha fatto guadagnare in simmetria e risparmiare risorse. Al centro della croce ho posizionato una figura (il modello si chiama Angelo) che indossa dei guantoni da boxe: non puoi dire se è un vincente o un perdente, se è forte o debole, che intenzioni ha, è impenetrabile come lo spazio che abita, in conflitto tra la profondità della prospettiva e la piattezza del bianco. Sta in croce, ma ha i piedi ben poggiati per terra, é letteralmente crossover.
A.S.R. -In RHOME, si riconosce una casa bianca dipinta ed un ragazzino con una felpa con su scritto Roma. Di che si tratta?
In un'opera ho associato l'effetto specchio (mirror) al disegno di una croce (cross) e ne
è venuta fuori Cross the Mirror. Quest'opera ha momentaneamente chiuso il ciclo delle Anamorfosi che spero di riaprire prima o poi. Guardandola penso che essa racconti come faccio alcune cose, nel titolo, nell'immagine. Sul set ho disegnato solo metà della croce affidando allo specchio il compito di restituirla intera, questo mi ha fatto guadagnare in simmetria e risparmiare risorse. Al centro della croce ho posizionato una figura (il modello si chiama Angelo) che indossa dei guantoni da boxe: non puoi dire se è un vincente o un perdente, se è forte o debole, che intenzioni ha, è impenetrabile come lo spazio che abita, in conflitto tra la profondità della prospettiva e la piattezza del bianco. Sta in croce, ma ha i piedi ben poggiati per terra, é letteralmente crossover.
A.S.R. -In RHOME, si riconosce una casa bianca dipinta ed un ragazzino con una felpa con su scritto Roma. Di che si tratta?
M.R. -Quella l'ho scattata nel campo Rom di via Candoni, a Roma. Non è stato un lavoro semplice: dovendo dipingere sul campo da calcio ho dovuto fare una lunga trattativa con i bambini che giustamente volevano il campo libero per giocare a pallone, per di più era una bella domenica di gennaio e dunque non erano a scuola ma tutti a giocare, una marea di ragazzini caotici. Quando hanno visto la pittura per fortuna hanno iniziato a interessarsi al lavoro e hanno preteso di partecipare alla pittura, è stato un miracolo che a fine lavoro il bianco era solo nelle zone che avevo segnato. Quando ero pronto a scattare è sbucato un ragazzino piccolissimo che fino a quel momento non si era ancora visto, capello biondo tinto, fare da Eminem, felpa col cappuccio con sopra scritto ROMA. "Fermo là, ti prego!" e ho scattato.
A.S.R. -Possiamo parlare di convivenza tra l’arte che siamo abituati a vedere nelle gallerie e l’arte di strada? E’ possibile che l’una sia l’evoluzione dell’altra o il contrario?
M.R. -Certo, è un po' di anni che praticamente non si parla d'altro, c'è convivenza,è una vecchia storia: artisti famosi pescano idee e tendenze nuove nell'underground, graffitari e street artist più o meno talentuosi espongono dentro gallerie rispettabili. è normale e lo era anche trent'anni fa.
Fare opere per strada non è una novità.
A.S.R. -Da Potenza a Roma. Un viaggio lungo anni con una sola passione, quella dell’arte. Cosa ti manca e cosa ti resta ancora da fare?
M.R. -Detta così sembra una polemica sulle condizioni della Salerno-Reggio Calabria… Scusa, torno serio, e a domanda romantica rispondo romanticamente:
Mi manca l'emozione che provai quando vidi per la prima volta passare un treno con sopra un mio graffito: ero il re del mondo, se domani mi chiamassero per dirmi che devo portare un pezzo in Biennale non proverei quello che provai allora.
Mi mancano gli anni in cui ero più piccolo e facevo i miei lavori senza pensare a tutte queste chiacchiere che facciamo oggi, avevo un gruppo di amici, erano il mio pubblico, erano i miei kids, facevo i miei graffiti per loro, belli e colorati, manco li fotografavo tanto ero sicuro che esistevano. Ecco, un po' mi manca quella freschezza :-(
Ma ho un sacco di cose da fare, sono poco capace di organizzare lavori che mi impegnino per più di un mese, invece avrei bisogno di fare proprio quello, qualche progetto più lungo, meno sintetico e più narrativo. Vorrei essere capace di dedicarmi a una cosa per un anno intero senza cambiare mille volte idea. Invidio quelli che cominciano a fare un film sapendo che lo finiranno fra due anni. Vorrei imparare a scrivere cose lunghe, strutturare un racconto, non chiacchiere confuse e autoreferenziali come queste, ma parole che scompaiono mentre le leggi creando storie, immagini, città, palazzi, case, letti disfatti, tavoli di bar.
tag: words about me
A.S.R. -Possiamo parlare di convivenza tra l’arte che siamo abituati a vedere nelle gallerie e l’arte di strada? E’ possibile che l’una sia l’evoluzione dell’altra o il contrario?
M.R. -Certo, è un po' di anni che praticamente non si parla d'altro, c'è convivenza,è una vecchia storia: artisti famosi pescano idee e tendenze nuove nell'underground, graffitari e street artist più o meno talentuosi espongono dentro gallerie rispettabili. è normale e lo era anche trent'anni fa.
Fare opere per strada non è una novità.
A.S.R. -Da Potenza a Roma. Un viaggio lungo anni con una sola passione, quella dell’arte. Cosa ti manca e cosa ti resta ancora da fare?
M.R. -Detta così sembra una polemica sulle condizioni della Salerno-Reggio Calabria… Scusa, torno serio, e a domanda romantica rispondo romanticamente:
Mi manca l'emozione che provai quando vidi per la prima volta passare un treno con sopra un mio graffito: ero il re del mondo, se domani mi chiamassero per dirmi che devo portare un pezzo in Biennale non proverei quello che provai allora.
Mi mancano gli anni in cui ero più piccolo e facevo i miei lavori senza pensare a tutte queste chiacchiere che facciamo oggi, avevo un gruppo di amici, erano il mio pubblico, erano i miei kids, facevo i miei graffiti per loro, belli e colorati, manco li fotografavo tanto ero sicuro che esistevano. Ecco, un po' mi manca quella freschezza :-(
Ma ho un sacco di cose da fare, sono poco capace di organizzare lavori che mi impegnino per più di un mese, invece avrei bisogno di fare proprio quello, qualche progetto più lungo, meno sintetico e più narrativo. Vorrei essere capace di dedicarmi a una cosa per un anno intero senza cambiare mille volte idea. Invidio quelli che cominciano a fare un film sapendo che lo finiranno fra due anni. Vorrei imparare a scrivere cose lunghe, strutturare un racconto, non chiacchiere confuse e autoreferenziali come queste, ma parole che scompaiono mentre le leggi creando storie, immagini, città, palazzi, case, letti disfatti, tavoli di bar.
tag: words about me